di Don Fabio Bartoli
“Ma voi immaginate forse che le monache siano infelici? Non le ho mai viste passeggiare, silenziose e avvolte nelle loro tonache, per i loro quieti chiostri, ma io ho questa visione: una vasta schiera di amazzoni, ben più coraggiose delle pagane Valchirie, che cavalcano affrettandosi alla battaglia; una carica di cavalleria che procede all’unisono e ogni donna è libera come Giovanna D’Arco, galoppano, galoppano verso Dio. Ecco la mia visione, ecco cos’è la vera Obbedienza” (Gilbert Keith Chesterton, “La sorpresa”, p. 38).
E’ da tanto tempo che mi ero ripromesso di scrivere qualcosa sull’anno della Vita Consacrata indetto dal Santo Padre, ma non avevo ancora le parole giuste, finché naturalmente non le ho trovate in quel tesoro senza fondo che è l’opera di GKC.
Sarà perché fino adesso, dopo cinque mesi, questa iniziativa è stata una grande delusione. Voglio dire: a parte un paio di convegni, chi ne ha mai sentito davvero parlare? Convegni! Come se per parlare di cosa sono le consacrate e i consacrati servissero a qualcosa i convegni! Ci vuole Wagner per descrivere una cavalcata di Valchirie, ci vuole l’impeto, la bellezza, il coraggio della poesia, perché la consacrazione è amore e per parlare dell’amore non servono i convegni…chi baratterebbe il più istruttivo dei convegni con un solo minuto trascorso con la donna amata? E quale delle due esperienze ci insegnerebbe di più sull’amore?
Fino adesso la cosa più interessante registrata in questo anno è la “riconciliazione” tra la Santa Sede e le cosiddette “suore dissidenti” americane, che non so nemmeno se è una buona notizia, dato che di per sé ogni riconciliazione lo è, solo che tutta la vicenda mi è sembrata più una trattativa sindacale che una storia d’amore…
Quando il Papa ha indetto questo anno, a fine Novembre, ho pensato: ecco, è esattamente quello che ci vuole, che idea provvidenziale ha avuto il Santo Padre! Idea davvero provvidenziale, perché il compito dei Consacrati nella Chiesa è quello di ricordarci continuamente il primato di Dio, di trascinarci tutti, con il loro impeto, con la loro passione, in questa cavalcata. Senza i consacrati, uomini e donne, il cristianesimo sarebbe solo un’ideologia e la Chiesa una caserma. Sono loro, con la loro radicalità e la fermezza delle loro scelte, che ci richiamano continuamente all’Essenziale, che ci ricordano sempre qual è “la parte migliore”. Sono loro che ci riportano sempre al soffio dello Spirito che deve attraversare ogni istituzione e regola, che ci parlano della dolcezza, dell’umanità, dell’allegria della nostra fede.
E così questo avrebbe dovuto servire a rimettere loro, i consacrati, nel ruolo che gli spetta, ad indicarli al mondo come “la città sul monte”, quella che non può restare nascosta, quella che deve essere il modello, il paradigma di Vita Cristiana a cui tutti noi tendiamo. In una Chiesa sempre più secolarizzata, questo è esattamente ciò che ci serve! E d’altra parte il motivo maggiore per cui la Chiesa è secolarizzata forse è proprio da rintracciare nello smarrimento dei consacrati.
Credo che ci sia nella Chiesa attuale una sovraesposizione del clero. Voglio dire: fino a non molto tempo fa la gente quando pensava alla Chiesa pensava innanzitutto a loro, ai frati e alle suore. Prendi Manzoni: per esempio, don Abbondio, il parroco, non è certo un ideale di vita cristiana! Il modello eroico, il punto di riferimento, è Fra Cristoforo, un frate, cioè un consacrato. E come Manzoni così fino a un po’ di tempo fa pensavano tutti i cristiani: il paradigma della vita cristiana erano loro, frati e suore. Ma nella Chiesa di oggi, che pure è piena di figure luminose, non sembra più essere così.
Credo che il disastro maggiore della stagione post-conciliare (non che il Concilio ne abbia colpa, ma questo è un altro discorso e per di più assai noioso) sia lo smarrimento dell’identità dei religiosi, che nei rami maschili hanno finito con l’appiattirsi sul clero diocesano, perdendo di fatto la loro specificità carismatica e missionaria, la loro libertà profetica, che dovrebbe far sì che siano la sorpresa e la novità dentro l’Istituzione e non semplicemente gente che tira la carretta, come noi poveri parroci. Per riprendere l’immagine di GKC, è come aver appiedato la cavalleria e averla costretta a condividere il fango della trincea con i fanti…pessima strategia invero! Dai consacrati mi aspetto la gioia, la testimonianza della bellezza del vivere cristiano, il fuoco della lode che nella Chiesa incendi ogni cosa!
Le suore invece hanno condiviso la generale crisi della femminilità che ha attraversato tutto il mondo. In un mondo dove la parola femminilità è diventata sinonimo di seduzione, dove il valore specifico di una donna non è più individuato nelle sue caratteristiche di cura e tenerezza, quelle cioè che fanno riferimento alla maternità, dove uomini e donne sono portati a scontrarsi in una insensata lotta senza fine, dove la parola “servizio” da valore supremo dell’amore è diventata sinonimo di servitù, che senso hanno più le suore?
Già, le suore…Che mondo sarebbe senza le suore? Che Chiesa sarebbe senza di loro? Da loro ho imparato a coniugare verità e dolcezza, cura e fermezza, tenerezza e forza. E non mi hanno mai chiesto niente, sempre pronte a servire, come Gesù. Umili, attente, pronte e forti come solo una donna sa essere. Se i preti sono le mani e i piedi della Chiesa, piedi che vanno verso il mondo e mani che lavorano, le suore sono la spina dorsale, quella che si piega per servire e che regge tutto il peso del corpo. E allora dovremmo dar loro voce per dirci che servire è bello, esaltante come una cavalcata di amazzoni appunto, per ricordarci che tutti, uomini e donne, troviamo nel servizio la misura dell’amore e quindi del nostro essere cristiani.
Nel mare vasto e senza sponde della mia biblioteca non sono riuscito a ritrovare la citazione esatta, ma ricordo bene la commozione con cui tempo fa lessi un brano di S. Gregorio Magno che ricordava che il primo dovere di un pastore è prendersi cura delle Vergini Consacrate. Come sarebbe bello se se ne ricordassero più spesso i nostri vescovi e i nostri preti! Questo mondo senza donne, che ha convinto le donne che per realizzarsi devono essere uomini, ha bisogno più che mai di suore, di donne felici, vitali, innamorate, che cavalcano verso Dio; un pastore dovrebbe considerarle come le sue truppe migliori, dovrebbe sapere che ogni minuto dedicato a prendersi cura di loro è un investimento a favore di tutta la Chiesa.
Questo vorrei da un anno dedicato alla Vita Consacrata: non deprimenti e fumose analisi, ma una coraggiosa e fiera riscoperta della propria identità e del proprio carisma, non volumi riempiti di parole vuote, ma strade e case e piazze e palazzi, anche quelli del potere ecclesiastico, risuonanti di festa e di lode, non un cammino stanco e sostanzialmente senza meta, ma una gioiosa cavalcata verso Dio.
FONTE – LA CROCE QUOTIDIANO
foto Jeffrey Bruno