IN CARCERE: DONARE DIGNITA’ E FORZA PER SOGNARE IL FUTURO

IN CARCERE: DONARE DIGNITA’ E FORZA PER SOGNARE IL FUTURO

1993
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Frate Franco, cappellano per sei anni a Bologna nella Casa Circondariale della Dozza, fino a 1200 detenuti in 480 celle circa (ora 700), suddivisi nei reparti: penale, giudiziario, femminile, alta sicurezza, protetti, infermeria e semi liberi. Un servizio delicato e profondamente “compromettente”.
“Il cappellano tiene relazioni con i detenuti, con gli agenti, con la direzione, con gli educatori e con i volontari, per essere in quel luogo presenza di chiesa” spiega. Insieme a lui, altri sacerdoti e consacrati, laici, volontari. Assicura il servizio liturgico: cinque messe alla domenica e una al sabato, preparazione e celebrazione di battesimi, cresime e matrimoni.
“In collaborazione con la direzione, gli educatori e i volontari siamo riusciti ad attuare anche esperienze alternative, come il pellegrinaggio a piedi ad Assisi di 6 giorni, il servizio ai disabili al Villaggio senza barriere.
Ma lo specifico del cappellano, oltre ai colloqui personali – che possono fare anche i volontari, tramite “domandina” – è la possibilità di entrare nei bracci passando di cella in cella, potendo quindi raggiungere e incontrare tutti i detenuti e non solo quei pochi che domandano un colloquio”.
Di passaggio, tra spazi stretti: “Mi sono sempre sentito accolto benevolmente da tutti i detenuti, al di là della nazionalità, della lingua, della religione. Così a tutti potevo portare un saluto, un ascolto, un aiuto materiale – se necessario – o morale e pian piano approfondire quache relazione, anche se erano tanti!
Si entra in contatto con la disponibilità e la delicatezza del saper ascoltare senza giudicare, accogliere l’altro come persona al di là di quello che ha vissuto, perchè il bisogno più grande di molti è proprio quello di recuperare la propria dignità, di non sentirsi persi, scartati – come li vede invece la società -, di sentirsi amati e ancor prima di riuscire ad amarsi…per non “buttarsi via”.
Grande importanza è dar loro la possibilità di aprirsi, con qualcuno di cui si possono fidare, per uscire dalla solitudine e, molte volte, da un passato veramente pesante.
Ancora più fruttuoso è vederli intraprendere un cammino spirituale che molte volte giunge anche alla confessione, come punto di partenza per una vera e profonda liberazione”.
Giorno dopo giorno, tanti i segni di speranza raccolti: “Quanta sofferenza, quante lacrime!!! Ma anche lacrime che sono segno di un riconoscimento e di una consegna del male fatto – e anche ricevuto – e di una nuova accettazione di sè, di un nuovo sguardo che apre alla speranza, anche se ancora da costruire, anche se non immediata, ma che può cambiare il modo con cui stare in carcere.
Il sostegno più importante è che sentano qualcuno vicino. Non tutti hanno i familiari che li visitano, che si preoccupano di loro, che fanno loro capire che hanno valore, che non sono abbandonati”.
Tra i tanti ricordi due, senza prezzo, due brevi stralci di lettere autografe:
“Resterai nei nostri cuori, hai saputo donarmi la fede del Signore, il coraggio di lottare per realizzare i miei sogni, il conforto di cui avevo bisogno, ma soprattutto hai saputo donarmi la voglia di vivere appieno la mia vita e di prendere scelte giuste”.
 
“Grazie per tutto quel che hai fatto per me, sei un angelo, mi sento di avere il padre che non ho mai avuto….Per favore non mi abbandonare perchè non ce la farò mai da sola. Ho necessità del tuo aiuto, di quello dell’avvocato e soprattutto di Dio. Prega per me e per mio figlio”.

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