Tre suore agli incroci per regalare abbracci ai migranti

Tre suore agli incroci per regalare abbracci ai migranti

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Accade a Siracusa. E’ la missione di Sr. Teresinha Santin, 51 anni, brasiliana, sociologa di professione da 5 mesi in Sicilia insieme a Sr Angjelina Preci, albanese, infermiera. A loro si aggiungerà a giorni anche Sr Ivanir Filippi, infermiera, anche lei brasiliana.

ROMA – Ai semafori c’è chi vende accendini, giornali, chi si offre per pulire i vetri delle macchine. Da 5 mesi ci sono anche loro: due religiose scalabriniane. Le trovi lì o per le vie di Siracusa. Regalano abbracci, ma solo ai migranti. E’ la missione di Sr. Teresinha Santin, 51 anni, brasiliana, sociologa di professione da 5 mesi in Sicilia insieme a Sr Angjelina Preci, albanese, infermiera. A loro si aggiungerà a giorni anche Sr Ivanir Filippi, infermiera, anche lei brasiliana.

A raccontare la loro storia e la loro iniziativa è il portale informativo dei religiosi “Altrodadire”: sostenuto dalla fondazione Comunicazione e cultura della Cei e realizzato da Kaleidon, online dal 17 maggio scorso.

“Una comunità nata il 24 gennaio – spiega sr Teresinha -. Il Vescovo mons. Salvatore Pappalardo ha chiesto la nostra presenza per collaborare con la missione della Chiesa per accogliere i migranti“. Così da gennaio insieme alle tante realtà impegnate in tal senso – parrocchie, associazioni, volontari – le religiose offrono il loro contributo.
“Colmare quel che manca che è poi sostanzialmente lo stare accanto, abbracciare al momento dello sbarco, poi in piazza, ai semafori, dare il buongiorno nella loro lingua, ringraziare questi fratelli per il loro coraggio e la loro speranza”.

Sempre in cammino per le vie di Siracusa dalle 8 alle 23: “non abbiamo la macchina, camminiamo, è più bello. A volte curiamo i loro piedi, li fasciamo, di strada ne hanno fatta più di noi. Incontriamo siriani, sudanesi, nigeriani, eritrei, ivoriani. Spesso ci chiedono la corona e le candele per pregare con noi il rosario. Gli eritrei sono molto religiosi. Portiamo con noi il testo dell’Ave Maria nella loro lingua, anche se il linguaggio dell’amore, dello stare insieme è più forte della lingua materna”.
“Sono loro parola vivente di Dio. Una sera d’inverno – racconta – abbiamo chiesto ad uno di loro di cantare per noi. Non ho casa, non ho moglie nè lavoro, ci ha detto, come fa il mio cuore a cantare? Siamo rientrate a casa piangendo e abbiamo riletto il salmo 137, il canto dell’esiliato ‘Come cantare i canti del Signore in terra straniera?’. Quella notte non abbiamo dormito, abbiamo compreso”.

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