Il più giovane ha 9 anni e viene dalla Birmania. Il più anziano, 79, è Eritreo. Gli altri vengono da Siria, Afghanistan, Sudan, Pakistan, Senegal e così via: 14 paesi in tutto, in una bella casa di 3 piani con giardino, in via Casilina 634.
Mohamed, 35, parla a nome di tutti gli attuali 27 ospiti, che arriveranno ad un massimo di 30, nella struttura che da oggi è ufficialmente “Casa Scalabrini”, parte del progetto “CAI”, Comunità Accogliente Inclusiva. “Vengo dalla Guinea Conakry. In Italia sono arrivato 8 anni fa”. Accolto dal centro Astalli dopo aver ottenuto documenti, patente e un primo lavoro, trova una casa in affitto. Poi la crisi, ancora il Centro Astalli e da 4 mesi è qui. “Sono scappato dal mio paese perchè non c’è democrazia, possibilità di esprimere il proprio pensiero. Ero marginalizzato e minacciato a causa del mio impegno per la libertà di espressione”. Musulmano, sposato, ha un figlio: “sogno una casa per la mia famiglia, un lavoro. Per questo non mollo”. Gli studi di Lettere all’università in Guinea. In Italia corsi di informatica, agricoltura biologica, abilitazione alla guida di carrelli elevatori. Ora è magazziniere in una libreria e aiuta il Centro Astalli per l’accoglienza. “Restituisco quanto ricevuto. Voglio costruire un futuro per me e la mia famiglia. A Casa Scalabrini c’è solidarietà, tanta, e democrazia. Sogno un futuro di pace, quella che Papa Francesco – che mi piace tanto – sta cercando di costruire, pensando innanzitutto ai poveri”.
Ibrahim viene dal Senegal, dove ha studiato Giurisprudenza ed in Italia vuole restare, ma c’è chi non si da pace e vorrebbe rientrare nella sua città, Aleppo o quel che resta.
Un giardino curato e accogliente, stanze per due, ampie e luminose, spazi pensati per un percorso di semi autonomia: lavanderia, cucina multiuso con 4 angoli cottura, dispensa con spazi personali, refettorio, sala comune. Dal 1970 di proprietà degli Scalabriniani l’edificio poteva essere destinato all’affitto o alla vendita per sostenere altre opere. “Non potevamo tirarci indietro. L’emergenza ci ha interpellati nel profondo” sottolinea p. Gianni Borin, superiore regionale.
Uno studio di due anni per capire quale forma dare al progetto. Il supporto fondamentale del Centro Astalli, della Caritas, l’ascolto umile e prudente delle tante realtà che da anni operano nel campo e sul territorio. Poi l’obiettivo: “andare oltre l’emergenza con strutture di seconda accoglienza” spiega Borin. “Aiutare chi ha ottenuto lo status di rifugiato con percorsi di inserimento sociale, lavorativo, culturale per una reale integrazione”.
Il via ai lavori di sistemazione per ricavare, spazi che dicano prima di tutto “l’attenzione alla persona – specifica P. Fabio Baggio, scalabriniano, direttore dell’ufficio sviluppo Europa Africa – in un contesto e clima familiare per percorsi personalizzati; condividere quindi con il territorio la ricchezza della loro presenza, attivando laboratori e progetti inclusivi aperti a coloro che vorranno prendervi parte, dalla sartoria, alla web radio, dai corsi di italiano, a quelli di agricoltura sociale, alla scuola guida”. Tutto grazie ai tanti volontari che hanno bussato offrendo gratuitamente tempo e professionalità, modellando in un continuo divenire il progetto stesso. Infine “essere in rete con, per e assieme alle parrocchie, alle scuole, alle associazioni, tantissime, che già operano sul territorio, dagli anziani ai bambini”. Allo studio la ristrutturazione di due ulteriori stabili attigui per accogliere famiglie con bambini e progetti formativi.
A servizio della casa un team compatto: Emanuele Selleri, direttore esecutivo del progetto, Rita Urbano assistente sociale e Claudio Oroni, operatore, in un quartiere, il Casilino, “da sempre interessato all’ immigrazione, fin dagli anni 50” come ha ricordato Mons. Guerino Di Tora, presidente della Commissione per le Migrazioni della CEI, intervenuto con Mons. Paolo Lojudice all’inaugurazione della struttura, “quando i migranti provenivano dal Sud Italia, da Puglia, Calabria. L’integrazione, la collaborazione era già da allora problema vivo e presente”. Oggi interessa coloro che vengono da altre parti del mondo. “Siamo in un momento epocale, davanti a migrazioni come quelle dell’VIII, del XII secolo. Non un fenomeno passeggero, ma una realtà che durerà negli anni, inizio di una umanità che deve ritrovare qualcosa, perdendo altro. Dobbiamo imparare a vedere questa situazione come un’opportunità, una realtà nuova”, “un disegno provvidenziale di Dio – ha aggiunto P. Alessandro Gazzola, Superiore Generale della Congregazione scalabriniana – per comporre una nuova umanità”.
Una risposta possibile a Roma, grazie al sostegno della Elemosineria Pontificia e della CEI, progetto pilota per ulteriori iniziative. “Ad oggi – ha sottolineato Mons. Feroci, direttore della Caritas Diocesana – sono più di 100 le risposte positive raccolte tra le parrocchie per ospitare i migranti: i primi 44 saranno accolti il 2 novembre. Il 1° gennaio il secondo gruppo, per percorsi graduali e diffusi sul territorio, sostenibili per la città, positivi per chi è accolto e chi accoglie”.
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