Quello che le Generali non dicono

Quello che le Generali non dicono

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di Laura Galimberti

Sono 1860, donne, di tutto il mondo. Generali, per vocazione, di altrettanti eserciti. Diaconato femminile a parte, chi sono, da dove vengono e cosa fanno di così profetico e rilevante con le loro poliedriche “imprese”?

La parola ad Elvira, “donna di fuoco”.

Il suo “impero” conta 319 “impiegate”, in 13 nazioni, di 4 continenti, 200 solo in Italia. 4 ad esempio sono a Genova. Si occupano di 15 bambini con forti disagi, affidati dai centri sociali e tribunali. “5, e altri in via di inserimento, arrivano il pomeriggio” spiega. Con loro compiti, cura della relazione, tenerezza. “Gli altri 10, vivono con noi: siamo la famiglia che non hanno avuto. Ieri uno di loro era arrabbiato con il mondo intero. La mamma non era venuta a trovarlo”. In famiglia fedi, culture, provenienze diverse: “abbiamo piccoli dal Sud America, paesi Arabi, Europa”.

 

Stessa impresa altro luogo. Quartieri spagnoli, Napoli. Il target? “Bambini di strada o di famiglie toccate da camorra; 14 bambini e 4 adolescenti. “Abbiamo una ragazza che a 10 anni deve procurare cibo e lavare casa, il tutto condito dalle botte. Scappa ogni tanto al centro per riposare un po’ e ritrovare serenità”. Qui le “impiegate” sono 4, con un team di educatori.

Profezie? “Risposte alla disgregazione della famiglia, alla corruzione, con suore in prima linea anche nelle manifestazioni di piazza per la legalità”.

Non solo Italia. La “multinazionale” è presente in Sud e Centro America, Europa, Asia, Africa. In luoghi altamente critici, senza “caschi”, solo “velo”. “In Uganda da 23 anni siamo a Kakumiro. Non c’era neanche la luce al nostro arrivo. Studiavano solo i maschi. Le donne servivano gli uomini e in ginocchio. Oggi abbiamo un ostello per 150 ragazze. Lo abbiamo costruito con i mattoni migliori dell’Uganda. La nostra casa invece con quelli più economici. Un segno”. Poi la scuola per sarta, parrucchiera, agricoltore, avviata all’inizio in una stanza, oggi ospitata in una casa a 3 piani. Nei laboratori si confezionano le uniformi per le scuole e i paramenti sacri, marchio vintage “Domenican Sisters Kakumiro”.

Le ragazze con i soldi guadagnati acquistano le macchine da cucire e rientrano nei loro villaggi con un lavoro per sostenere le famiglie. Ai bambini pensa la rete delle borse di studio, grazie a tanti benefattori italiani. Il cortile della missione è il campo dei miracoli: “tutti accorrono quando hanno un problema”. Un giardino, irrorato dal sangue di una consorella, Monica, 34 anni, preparatissima, innamorata dell’Africa, morta in un agguato sulla strada e sepolta vicino al convento. “Al suo funerale c’era tutta l’Uganda”.

Ancora in Afghanistan per “salvare i bambini di Kabul”, in risposta al grido di Giovanni Paolo II. Nel progetto avviato in sinergia tra le Congregazioni, le Domenicane di Santa Caterina ci sono e dall’inizio. Razia in particolare, da tempo e a più riprese. E’ lì per i suoi bambini molti dei quali divenuti disabili perchè traumatizzati dalla guerra. “Alcuni non riescono a parlare per la paura”. Recuperati e reinseriti con amorevolezza e competenza nelle scuole normali, risultano “migliori degli altri”. E il tutto lì, con i talebani alla porta.

Esagerate? “Se Caterina fosse qui oggi griderebbe in mezzo a guerre ed immigrati fratelli pace, pace, come a Firenze, quando animava una resistenza pacifica, pronta a morire da martire. Denuncerebbe la corruzione con la sua intrepida passione, come fece con la Regina di Napoli, richiamandola al bene per il suo popolo. Scriverebbe mail di fuoco, lei analfabeta che dettava tre quattro lettere insieme, dal Papa alla prostituta a tutta la gamma di umanità”.

E se Caterina resta il modello, è Domenico il padre: “Contemplative sulle strade, instancabili camminatrici come lui nel suo itinerare incessante in Europa per cercare l’uomo ed annunciare, con delicatezza ed amorevolezza, la verità”.

Tutto nato attraverso una donna, Catherine-Gerine Fabre, seme umile di un grande progetto. Francia, anno 1852. La Generale delle Domenicane di Santa Caterina, Elvira Bonacorsi, ne è l’attuale erede.
Una, di 1860.

Quello che le Generali non dicono

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