E se i migranti bussassero alla tua porta? L’esperienza, non programmata, di...

E se i migranti bussassero alla tua porta? L’esperienza, non programmata, di un gruppo di giovani

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di Laura Galimberti

Un sabato pomeriggio come tanti altri, all’apparenza. Un gruppo di ragazzi, un giovane sacerdote, una saletta parrocchiale ad Agrigento. Ore 17.45, temperature in forte calo. “Al caldo e con le porte ben chiuse, per evitare il freddo – racconta don Giovanni Amico, guanelliano – eravamo intenti a vivere il nostro incontro di formazione settimanale. A dire il vero, cercavamo di “balbettare” su un ordinario episodio di normale incomprensione tra persone appartenenti alla stessa comunità”. Ad un certo punto, la porta chiusa viene aperta ed irrompe il parroco, don Aldo Mosca: imminente l’arrivo di un gruppo di immigrati che chiedeva ospitalità in una notte di gelo. “Nessuno immaginava che da lì a poco quella stanza, nella quale stavamo vivendo il nostro incontro alla luce della parola Misericordia, sarebbe diventata la “porta santa” della nostra parrocchia”.

Migranti accolti

L’appello della Caritas diocesana era rimbalzato fin lì, stravolgendo e pro-vocando. “Ci siamo divisi i compiti tra noi ragazzi – spiega Valentina, 18 anni – per accogliere nel miglior modo possibile questo gruppo di 27 migranti. Alcuni hanno iniziato a preparare una zuppa calda, altri con le auto li andavano a prendere, altri ancora hanno iniziato a pulire e predisporre la sala in cui eravamo e dove li avremmo accolti, con il desiderio di farli sentire il più possibile a casa”.

Il tam tam ha coinvolto le famiglie della parrocchia intitolata alla Beata Maria Vergine della Provvidenza e quelle vicine: “un via vai di gente con borsoni pieni di coperte, vestiti. Un’emozione continua, rivoli di provvidenza”. All’arrivo dei ragazzi provenienti tutti dalla Guinea Conakry qualche difficoltà di comunicazione è stata presto risolta con il supporto dei traduttori on line. “Erano intirizziti dal freddo. Così abbiamo avuto l’idea – spiega Valentina – di riempire delle bottiglie di acqua calda per riuscire a farli riscaldare un po’, oltre a distribuire la zuppa calda, pane e dell’acqua”.

Migranti agrigento saletta

Poi le scarpe. “Quelle che avevano non erano adatte. E via la gente a portarne di tutti i numeri. Mancava all’appello un 46, introvabile. Poi ne sono arrivate addirittura 3 paia”.

Dopo la cena i ragazzi con l’aiuto di alcuni parrocchiani hanno verificato la strada che avrebbero preso il giorno successivo per proseguire il loro viaggio”. Due giorni intensi. “Ci riuscivamo a capire con lo sguardo, quegli sguardi che ti dicevano tutto. Si accontentavano di una stretta di mano o di un sorriso. La prima sera non avevamo abbastanza coperte ma tra di loro quelle più grandi le condividevano”.

Disegno su Lavagna

Sulla lavagna della sala hanno disegnato il loro villaggio, con la scritta “Africa”. “Lo mostravano con occhi profondi e pieni di speranza, con coraggio di uomini che vogliono andare avanti, solidali. Nessuno guardava il piatto dell’altro ma ancor prima di iniziare a mangiare si assicuravano che tutti lo avessero ricevuto.

Giorni speciali, in cui siamo stati messi alla prova, provocati. In quella “saletta” il disegno rimane e con esso l’esperienza viva di parole come sacrificio, amore, fede, speranza, fratello, accoglienza e, per provvidenza, “misericordia”.
Aperta la porta, è stato giubileo!”.

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