Tema dal sapore giubilare per la manifestazione in programma il 15 maggio a piazza San Giovanni, promossa da Scalabriniani e diocesi di Roma
«Quando, il 3 maggio di 25 anni fa, ha avuto luogo nella parrocchia del Santissimo Redentore a Val Melaina la sua prima edizione, la Festa dei Popoli nasceva nel solco del carisma scalabriniano ed era intitolata “Insieme senza frontiere”. Oggi, un quarto di secolo dopo, abbiamo voluto riprendere quel primo messaggio che si rivolgeva alla Chiesa di Roma e alla società civile». Un messaggio, spiega padre Aldo Skoda, responsabile dell’evento per i padri scalabriniani, che «adesso è più attuale che mai: domenica prossima in piazza San Giovanni non mancherà nessuna etnia per la Festa che ha un tema dal sapore giubilare, “Misericordia senza confini”».
Per l’evento, che vivrà la sua acme alle 12.30 con la concelebrazione nella basilica di San Giovanni in Laterano presieduta dal vescovo ausiliare Guerino Di Tora, presidente della Commissione episcopale Cei per le migrazioni, sono state coinvolte comunità appartenenti a 40 nazionalità, ma anche associazioni laicali: tutti insieme per vivere un momento di spiritualità ma anche condivisione e divertimento, con le degustazioni gastronomiche, i canti e i balli folkoristici. «Quella che vogliamo promuovere – spiega monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni – è la mentalità dell’accoglienza, della misericordia e della comprensione. Altro che muri, reticolati, paura e diffidenza: nella Chiesa non ci sono muri e c’è posto per tutti, la misericordia non ha confini».
Di «anniversario importante» parla il direttore della Caritas diocesana, monsignor Enrico Feroci: «La Festa dei Popoli in questi anni ci ha fatto scoprire l’importanza che le comunità etniche rivestono per la nostra Chiesa, così come ha più volte sottolineato Papa Francesco. È un evento che ci invita anche a riflettere su come valorizzare maggiormente questa grande testimonianza di fede all’interno delle comunità e pensare nuovi percorsi di integrazione all’interno dei gruppi che operano nelle nostre parrocchie».
Ad accogliere i visitatori sarà un gruppo di rifugiati, attualmente ospiti di una casa scalabriniana: «Uno scambio significativo – sottolinea padre Aldo – perché l’accoglienza non è univoca: accogliere l’altro significa anche farsi accogliere. Per la presentazione dei gruppi che ballano e cantano abbiamo invitato 4 giovani: un romano, un rumeno e due filippini, per far risaltare le nuove generazioni che stanno crescendo e intraprendono un cammino comune al di là della provenienza dei genitori o del loro stesso luogo di nascita». Intanto, a non troppi chilometri di distanza, l’Europa innalza muri e li decora con il filo spinato: «A preoccuparci non devono essere le frontiere fisiche ma anche quelle economiche, sociali e demografiche, e penso alla ghettizzazione di alcuni luoghi della città – riflette padre Aldo -. Questa festa è un luogo di fede, di incontro e di promozione. Non solo un “luogo” rispetto ai tanti non-luoghi di una città metropolitana come Roma, o agli anti-luoghi delle terre di confine, ma anche un’occasione di incontro: l’apertura e accoglienza sono tratti distintivi della comunità cristiana e questo vale ancor di più per una città come Roma, con una profonda vocazione all’accoglienza, alla multiculturalità e all’interculturalità. Mentre nel dibattito pubblico il migrante è una dichiarazione giuridica, un problema, un’emergenza da risolvere, noi mostriamo che, lontano dai riflettori dei media, c’è chi tesse la trama di una nuova società interculturale».
FONTE – ROMASETTE