di Paola Proietti
La struttura, nata nel 1998 nel quartiere Bravetta e implementata con i fondi dell’8 per mille, accoglie ragazze madri sole con i loro bimbi e persone in difficoltà
Bruck ha il sorriso grande e gli occhi furbi. Ha 4 anni e ogni volta che sua nonna gli dice che la madre è arrivata per riportarlo a casa, lui risponde che è già a casa. La “nonna” è suor Paola D’Auria, delle suore scolastiche francescane del Cristo Re, e la casa di Bruck e quella che la religiosa ha fondato nel 1998, nel quartiere Bravetta: la So.Spe, “Solidarietà e speranza”. Una casa famiglia per ragazze madri e i loro bambini. Una realtà che nel pensiero della sua fondatrice aveva origini diverse: «Alla base della mia vocazione c’è sempre stata la grande voglia di aiutare i poveri – racconta la religiosa -. Una volta diventata suora, ho iniziato il mio volontariato tra i detenuti. Un’esperienza con cui ho vinto le mie paure ma, allo stesso tempo, mi ha caricato dei problemi dei carcerati che assistevo. Spesso mi chiedevano di andare a trovare le loro famiglie, i loro figli. Così, ho iniziato a spingermi verso le periferie. Grazie alla mia passione per il calcio, realizzavo tornei per coinvolgere i ragazzi».
Dopo poco tempo, i ragazzi di suor Paola diventano tanti, così tanti che c’è bisogno di un luogo dove riunirli e anche offrirgli qualcosa di più di un pallone. La suora, allora, chiede al Comune di Roma uno stabile dove avviare il suo progetto: «Volevo fare un grande oratorio, dove i figli dei carcerati potessero giocare, fare i compiti, stare insieme e poi tornare a casa la sera. Scelsi questo posto. Era una scuola materna mai entrata in funzione, diventata prima centro sociale e poi ritrovo per tossici». a zona è presto bonificata e iniziano i lavori. Tutto è pronto già a Natale del ‘97 ma suor Paola, da sempre devota alla Madonna di Lourdes, aspetta l’11 febbraio per l’inaugurazione, data dell’apparizione di Maria a Bernadette. Prima però, succede qualcosa: «Proprio il giorno in cui avrei dovuto incontrare l’assessore per la consegna delle chiavi, ho visto a un semaforo una ragazza: aveva 14 anni, il pancione e per mano teneva un altro bambino di due anni. Appena mi ha visto è scappata. Dopo averla rincorsa, sono riuscita a fermarla: pensava fossi un’assistente sociale che voleva toglierle il figlio. L’ho convinta a seguirmi, dicendole che potevo offrirle un tetto. L’ho sistemata nell’unica stanza allora disponibile. Il giorno dopo, mi sono ritrovata alla porta otto ragazze, tutte sue amiche, chi incinta, chi con i bambini piccoli. Tutte facevano l’elemosina ai semafori. È allora che ho capito che la mia volontà non c’entrava ma era il Signore a indicarmi cosa fare di questa casa. E così ho fatto».
Oggi, il villaggio So.Spe è un centro polifunzionale composto da due strutture destinate all’accoglienza. «Le ragazze imparano a prendersi cura di loro stesse e dei propri figli – dice Mariangela, operatrice -. Arrivano impaurite, sfiduciate. Ci sono molte straniere ma anche italiane, tutte segnalate dai servizi sociali». Martina, 17 anni, ha partorito Giorgia tre mesi fa ed è mamma anche di Denise, due anni appena. «Ero una ragazzina agitata, un po’ superficiale, non sapevo come fare la mamma – dice -. Qui lo sto imparando. Ora so che voglio finire la scuola e crescere i miei bambini». Roja è afghana e vive qui da quasi un anno. A soli 25 anni ha conosciuto la violenza più cruda. Con lei c’è la figlia Zhara, nove anni: «Oggi lavoro come parrucchiera, grazie a suor Paola ho seguito un corso professionale». Luwan, invece, è eritrea ed è la mamma di Bruck e anche di Daniela, poco più grande: «Sono stata qui fino a qualche mese fa – dice con un grande sorriso che le riempie il viso -; oggi lavoro come badante e posso permettermi una stanza. Dopo la scuola, i bambini vengono qui a fare i compiti e giocare. Suor Paola è un punto fermo per tutti noi».
Grazie alla solidarietà e anche alla televisione che, alla fine degli anni ’90 fa di suor Paola “la suora tifosa della Lazio”, la So.Spe realizza un centro di ascolto a Villa Gordiani. Ma è con i fondi dell’8 per mille che la suora realizza i lavori più impegnativi e allarga le braccia dell’associazione: «I primi fondi della diocesi li ho utilizzati per mettere in sicurezza il villaggio. Inferriate ad ogni porta e finestra, perché qui vivono ragazze sole con i loro bimbi, ragazze che hanno vissuto violenze domestiche, bambini che hanno assistito e, nei casi peggiori, subito violenza. Bisogna proteggerle». Ma è con i fondi avuti lo scorso anno che la religiosa realizza un altro piccolo sogno: «Con enorme fatica sono riuscita ad ottenere dal Comune uno stabile in disuso in via del Parco Mellini, accanto all’osservatorio astronomico. Anche qui abbiamo fatto una grande ristrutturazione. In poco tempo è nato il “Piccolo rifugio So.Spe”. Qui, accogliamo persone bisognose, gente in difficoltà. Molti stranieri ma negli ultimi due anni sono aumentati gli italiani, vittime della crisi. Distribuiamo vestiti e abbiamo un secondo centro di ascolto. E siamo riusciti a fare qualcosa in più: c’è una mensa, attiva a pranzo e a cena, aperta a tutti, ogni giorno della settimana. La frequentano soprattutto anziani, spesso soli. Così, approfittando di uno spazio adiacente, abbiamo realizzato per loro un centro diurno, dove possono farsi compagnia e passare il tempo». Solidarietà, speranza, ma è soprattutto la provvidenza a guidare le scelte della religiosa: «Sarà così anche dopo di me. Prima però ho tanto altro da fare – dice sorridendo -. Hai idea di quanti poveri ci siano ancora da aiutare»?
fonte ROMASETTE